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2008a

Introduzione

di Feliciano Paoli

Non vale la pena richiamarci alla memoria ciò che Rainer Maria Rilke scriveva  a un giovane poeta?
(…) “Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie. E si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove: Lei guarda all'esterno ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se stesso e protenda le sue radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere'?” (…) 
Così rispondeva Rilke - con un'altra domanda - alla richiesta del giovane, portando la scrittura poetica alla prova estrema, ponendola in rapporto con la stessa possibilità di respirare e di vivere.

Uno spirito di necessità non meno stringente attanagliava Arthur Rimbaud quando scriveva - recluso nella sua inquietudine - che la sua vita dipendeva dal pubblicare Una stagione all'Inferno. E infatti  i suoi versi videro la luce in una edizione alla macchia presso la Tipografia Pot. Il poeta ricevette 5-6 esemplari del libro e si indebitò per pagarsi la stampa. Anche in Rimbaud la scrittura dove  aveva riposto la sua possibilità di salvezza voleva affermarsi in qualcosa di oggettivo: un libro. 
Ma dopo tutto - è stato ben rilevato - che Rimbaud scriveva per se stesso; il suo problema principale non era tanto giungere agli altri ma raggiungersi.
Nella misura in cui riusciva a compiere questa operazione diveniva comunicativo agli altri come lo è ancor oggi. 

Perché Rimbaud?  Mi viene in mente il poeta francese perché lo immagino coetaneo a molti di questi giovani che credono nella poesia (e che pubblicano con l'aiuto di Vincenzo Zollo, poeta lui stesso); e poiché anch'essi declinano problematicamente il tema della loro giovinezza e del rapporto con il mondo. Scelgono, per cercarsi, ancora una volta la parola,  benché tanti oggi siano gli strumenti tecnologici che potrebbero polarizzare, se non abbagliare, una ricerca.
Forse i loro versi sono parimenti alla ricerca di quell'operazione che è un nucleo centrale della creazione poetica. Anche loro, cioè, scrivono  per verificarsi, il che è quasi una esperienza ontologica ancor prima che estetica. Si diventa chiari e si viene alla luce, in una certa misura, poiché ci si avvicina alla propria oscurità. 
Il poeta si scopre e si fa nudo senza divenire, per così dire, nudista così come la sua poesia, se diviene bella, lo è senza alcuna estetica compiacenza.